La maternità è un periodo sempre delicato per le donne, in particolare quando si tratta di lavoratrici. La tutela della salute della donna gravida viene oggi posta infatti in primo piano, con specifiche leggi volte a garantire sia il giusto equilibrio tra lavoro e riposo che la conservazione del posto di lavoro stesso. Vediamo in quali casi è possibile il licenziamento in maternità e quali divieti esistono a tale decisione del datore di lavoro.
Il d.lgs. 151/2001 ha stabilito che le lavoratrici non possono essere licenziate durante l'intero periodo di gravidanza, nonché fino al compimento del primo anno di età del bambino. Tale norma nasce per tutelare la donna nei confronti del datore di lavoro che decida di licenziare la lavoratrice in oggettivo stato di gravidanza, anche qualora questi sia inconsapevole di tale stato.
Il licenziamento della donna in stato di gravidanza è praticamente nullo e il rapporto di lavoro viene considerato, in virtù di tale norma, come mai interrotto. Di conseguenza, la lavoratrice a cui venga notificato un licenziamento durante la gravidanza può impugnare tale comunicazione e richiedere non solo la riammissione in servizio ma anche le retribuzioni sino a quel momento maturate.
La norma sopra citata nasce, come detto, per tutelare la salute della donna incinta e del bambino, come già peraltro sancito dall'art. 37 della Costituzione, in virtù della quale “Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
In virtù del principio di uguaglianza, la legge mira a impedire qualsiasi comportamento discriminatorio che possa comportare conseguenze negative per la madre e il bambino.
Il divieto di licenziamento delle donne in stato di gravidanza e delle madri lavoratrici prevede alcune deroghe (art. 54 comma 3 del d.lgs. 151/2001), in particolare: